Non la voglio sentire la tua voce

di marcogenga

Non la voglio sentire la tua voce. Aveva detto così. Voleva dire che la prima volta avrebbe voluto sentirla di persona, senza conoscerla prima al telefono. A lui stava bene. Non voglio neanche che tu senta la mia per telefono. Aveva detto anche così. Certo, aveva detto lui, non la voglio mica sentire al telefono la tua voce. Come te l’immagini la mia voce, aveva chiesto lei. Bella, aveva risposto lui velocissimo. Lei aveva esitato, lasciando i tre puntini d’attesa per qualche secondo. Poi era comparso un grande cuore rosso. Lui aveva sorriso, soddisfatto di aver dato quella pronta risposta.

Qualche settimana prima, lui aveva avuto il coraggio di scriverle un messaggio privato per farle sapere che la storiella da lei raccontata quel pomeriggio sulla chat del gruppo di appassionati di letteratura gli era piaciuta molto. Una storiella che faceva così. Lei è in fila alla cassa in una libreria e il ragazzo davanti a lei chiede alla signora di là dal bancone se hanno L’Aleph. È l’autore, chiede la signora. L’autore è Borges, risponde il ragazzo. Con l’acca, continua la signora. Insomma, lei era stata quasi per andare via, tanto era sconvolta dall’ignoranza della signora. Così lui le aveva scritto che la storiella gli era piaciuta molto. Mi è piaciuta molto la tua storiella. Aveva scritto proprio così.

Adesso lui era lì sulla panchina in quella grande piazza ad aspettarla sotto il sole delle tre. Non era arrivato in anticipo apposta, era solo capitato per caso. Non conosceva la città, non conosceva la piazza, non sapeva se avrebbe trovato parcheggio, così era partito prima. Parcheggiamo qui semmai camminerò un po’, si era detto trovando posto vicino al centro. Invece la piazza era proprio lì dietro. Appena girato l’angolo, la vide e si bloccò come se stesse per cadere in una buca. Ecco, pensò. È una bella piazza grande, aveva pensato, forse quanto un campo da calcio. Subito dopo pensò che non aveva idea di quanto fosse grande un campo da calcio. Entrò nella piazza e per sedersi scelse una panchina che non era né vicina né lontana.

Era stata lei a escludere di incontrarsi in un luogo chiuso come un bar. Lui aveva suggerito una biblioteca, vista la passione in comune che li aveva fatti conoscere. Così ci tocca parlare sottovoce tutto il tempo, aveva detto lei liquidando quel suggerimento. Incontrarsi all’aperto, passeggiare, parlare erano le cose che voleva fare. Parlare, aveva ribadito scrivendolo tutto in maiuscolo. E se piove, aveva ipotizzato lui, pentendosi subito di quelle parole. Ci sarà un gran sole, aveva replicato lei decisa, e aveva aggiunto tre piccoli soli al suo messaggio. Lui aveva risposto con una faccina che porta gli occhiali da sole. Infatti adesso era lì che l’aspettava con le maniche della camicia tirate su.

Dopo un’occhiata al telefono per vedere l’ora e controllare che lei non avesse scritto che tardava o cose così, cominciò a guadarsi intorno. La piazza era grande ed era bella. Chiese e palazzi d’epoca sui quattro lati di quel rettangolo allungato, lampioni di ferro battuto lungo tutto il perimetro e una piatta panchina di pietra tra un lampione e l’altro. Gli piaceva quella disposizione, perché lasciava a ogni panchina una certa riservatezza senza essere così lontana dalle altre da sentirsi troppo isolati. In mezzo la piazza era tutta vuota, niente fontane, monumenti o altro, un grande spazio vuoto dove giocavano i bambini. Ce n’erano di tutte le età, dai piccolissimi che camminavano appena ai più grandicelli che si erano uniti in gruppo per girare sui pattini reggendosi l’un l’altro. Lui sui pattini non ci sapeva andare e si chiese se quel tenersi l’un altro non rendesse ancora più difficile rimanere in piedi.

La facciata di uno dei palazzi attirò la sua attenzione. L’ho già visto ma dove, si chiese. L’aveva visto in una foto di lei, ecco dove l’aveva visto. Una foto di lei e di una sua amica aveva come sfondo quel palazzo. Si disse che se quel pomeriggio avessero fatto una foto insieme avrebbero assolutamente dovuto evitare quello stesso sfondo. Alle sue spalle c’era un muro giallo con una persiana verde e un alberello in un vaso. Si sistemò sulla panchina come per mettersi in posa e decise che sì, quello sfondo potava andare bene per la loro prima foto.

Di lei lui sapeva che le piacevano tanto i libri e in particolare gli scrittori sudamericani e ancora più in particolare Garcia Marquez, che lavorava in uno studio di commercialista da una decina d’anni e che la titolare era una parente anche se alla lontana e quel lavoro tutto sommato non le dispiaceva anche se era un po’ ripetitivo, che era figlia unica, che abitava da sola nella casa che era stata dei suoi nonni e che aveva arredato quasi tutta coi mobili dell’Ikea, che aveva un gatto che si chiamava Blu che non usciva mai di casa, che aveva avuto un cane che si chiamava Paco e che pensava di prenderne un altro forse, che l’altra estate era andata in vacanza in Toscana con un’amica ma non si erano divertite tanto.

Di lui lei sapeva che gli piaceva leggere ma più i saggi che i romanzi, che lavorava nell’ufficio commerciale in una ditta che vendeva infissi in poliuretano espanso, che aveva un fratello, che abitava da solo, che non aveva gatti o cani. Sapeva solo questo, si chiese lui. Io so più cose di lei che lei di me, si rese conto. Non è possibile che non ci siamo detti altro, si disse. Vabbe’ oggi rimediamo, concluse. Magari non le avrebbe raccontato del suo lavoro, ché era noioso e i colleghi per lo più antipatici e non li frequentava fuori dall’ufficio. La casa che aveva lui era già arredata, l’aveva affittata così. Pensò a un viaggio bello che avrebbe potuto raccontare se lei glielo avesse chiesto e pensò che avrebbe raccontato di quella volta che era andato a Berlino per capodanno. Sì, Berlino è abbastanza bello per un primo appuntamento, decise.

Nella panchina più vicina alla sua, qualche metro più in là, erano seduti due vecchi. Marito e moglie, pensò lui. Stavano in silenzio e guardavano anche loro la piazza e i bambini giocare e saltellare sui pattini. Erano proprio molto vecchi, lui col cardigan a rombi e lei col bastone di legno. Portavano tutti e due i sandali coi calzetti e questa cosa lo fece sorridere. Poi si sentì un urlo. Era uno dei bambini che urlava dopo essere caduto tutto lungo in avanti. Avrà battuto la testa, si chiese lui. Le mamme si affrettarono a soccorrerlo e lo calmarono e lo aiutarono ad alzarsi. Giochi finiti per oggi, pensò lui mentre il bambino si toglieva i pattini piagnucolando.

Poi si sentì un altro urlo. Era più vicino a lui e non era di un bambino. Era la vecchia di prima che, provando ad alzarsi dalla panchina tenendosi al bastone da una parte e al marito dall’altra, era finita tutta lunga anche lei perché il bastone le era scivolato via. Il marito la sostenne mentre si tirava su. Qualcuno dei passanti si era avvicinato per offrire il proprio aiuto, il vecchio aveva rassicurato tutti con un gesto della mano. Non c’è bisogno è tutto a posto grazie, lo sentì dire lui. Così, lenti lenti, i due vecchi si erano incamminati per uscire dalla piazza. Seguendoli con lo sguardo, lui si chiese perché lei non fosse ancora arrivata.

Poi smise di chiederselo. Sul telefono messaggi di lei non ce n’erano. Lui era arrivato con mezz’ora di anticipo e lei aveva mezz’ora di ritardo. Si alzò di scatto dalla panchina come se avesse preso una decisione definitiva. Invece si limitò a muoversi un po’ per sgranchirsi e si rimise a sedere. Non era per niente a suo agio. I giri dei bambini sui pattini e le loro grida l’avevano stancato e al posto dei due teneri vecchietti sulla panchina vicino alla sua si erano stravaccati due ragazzetti rumorosi e pieni di piercing. Si rialzò ancora e di nuovo si rimise a sedere. Nel farlo prese il telefono, ma non per guardare i messaggi.

Schiacciò sul tondo verde sotto il nome di lei. È vero ci siamo messi d’accordo di non telefonarci, pensò. Però sono qui da un’ora e non si vede nessuno. E poi fa la ragioniera, dovrebbe essere una precisa. No, fa la commercialista. Mi stanno simpatiche le commercialiste? Non l’ho conosciuta mai una commercialista. Saranno simpatiche, le commercialiste? Ho detto che non la voglio sentire la tua voce, disse una voce. Una voce che veniva da due punti. Un punto era il telefono. Si voltò. Lei sorrideva, così sorrise anche lui. Lei chiuse il telefono e così anche lui. Ciao, dissero. Lo dissero insieme. Neanche io volevo sentire la tua, pensò lui. Ma non lo disse, lo pensò soltanto.