DUE

di marcogenga

“Ogni parola che scriviamo è

una lettera d’amore”

– DQ

Esci di casa per andare a comprare un gelato. Fa già freschetto e ha piovuto tutto il pomeriggio. Però chissà perché hai voglia di gelato. Purtroppo scopri che la gelateria è chiusa. Non importa, pensi, perché non hai davvero voglia di gelato. Il gelato è una scusa per uscire, invece di stare chiuso in casa da solo. Perché dopo giorni e giorni durante i quali hai ripetuto a te stesso che non ne avresti più voluto sapere è arrivato il momento di vedere cosa succede là fuori. Magari ti sei inventato la scusa del gelato perché speravi di poter ottenere una specie di vaticinio dalla disponibilità dei gusti o dal colpo di fortuna di addentare un bel pezzo di cioccolato in mezzo alla stracciatella. Ci pensi a volte che le decisioni possano essere prese così: pensi a una domanda alla quale si possa rispondere con un sì o con un no e attendi che la persona che cammina di fronte a te entri o no in quel vicolo. Poi ti chiedi: una decisione così importante per la tua vita può essere affidata in maniera tanto stupida al caso? Comunque la gelateria è chiusa, quindi niente vaticinio al gusto di creme o frutta. Allora passeggi, già che ci sei. E ti capita di osservare una casa che fa angolo e chissà perché ti viene in mente Istanbul. Ti viene in mente Istanbul e una cosa che il tuo amico DQ ha scritto tempo fa e che diceva così:

Ci siamo interrogati su come si passa dalla conferma alla nostalgia poi alla ricerca e infine alla consapevolezza del mondo, della vita e dell’amore. Cominciamo da quello che scrive Williamson nei suoi appunti sulle civiltà precolombiane.

Accade (nelle società primitive) che certune simbologie restino immutate anche al mutare del contorno storico e culturale e sociale nel quale vengono impiegate. Abbiamo notato, ad esempio, come presso la tribù dei ‘Nfami la rappresentazione del Sole stia a significare la celebrazione della gloria e della forza del capo. Quando questa tribù è stata attaccata e sopraffatta dalla tribù dei Mename, quello stesso simbolo del Sole non sparisce, ma viene utilizzato dalla tribù vittoriosa per celebrare l’avvenuta vittoria.

Questo risulta decisamente in contrasto con quanto si chiede Dubois quando tratta della simbologia architettonica nei regimi fascisti degli anni ’30 in confronto con le democrazie occidentali. Ecco infatti cosa scrive Dubois.

Certi stili architettonici, certi motivi costruttivi si ritrovano negli Stati fascisti come negli Stati Uniti. In entrambi i casi si tratta naturalmente di stilemi ripresi da una sorta di koinè greco-romana. Sia nell’ispirazione classicista che nei nostri esempi moderni questi stilemi rappresentano la forza dello Stato. Ma ben diversi tra loro sono i regimi fascista e americano! Ci domandiamo quindi: quale tipo di Stato celebrano quelle architetture? Significano forme di Stato in realtà simili sebbene contrapposte storicamente? Oppure in uno dei due casi esaminati sono meramente vuote di significato?

Nel suo romanzo giovanile Loretti descrive il comportamento del protagonista (alter-ego dell’autore, presumiamo) che persevera nella consuetudine di passeggiare lungo certe vie come era solito fare con il suo caro amico sebbene questi sia morto mesi prima in guerra. Riporto poche frasi del brano che ne parla.

Le case e le strade che continuavo a percorrere non erano cambiate. Non vedevo in esse i fantasmi delle nostre lunghe camminate serali di poco tempo prima. Le case e le strade esistevano nel presente e io le sfioravo e le calpestavo non con l’intenzione di evocare un ricordo. Per me non poteva essere diversamente da così…

Ho la fotografia di un brano di un racconto tratta da un giornale ormai qualche anno fa. Non ricordo che giornale fosse, né l’autore del racconto. La tematica, declinata in chiave contemporanea e moderna, è la stessa trattata dai precedenti autori.

Con una certa regolarità cambiavo l’immagine di copertina di Facebook scegliendo solo immagini di coppie. Non di coppie nel senso di un-lui-e-una-lei soltanto. Potevano essere anche coppie di amici, di calciatori, di personaggi di cartoni animati, di politici, perfino di animali. L’unica regola è che fossero due. A quel tempo ero fidanzato con quello che pensavo essere l’amore della mia vita. Così mi sono detto che mi ero fissato con sta regola del due perché volevo celebrare il nostro amore. Questa mi sembrò una motivazione romantica e tenera. Era una specie di codice segreto fra noi: dicevo al mondo quanto l’amavo senza che il mondo ne fosse consapevole e potesse quindi prendermi per sdolcinato. Poi le cose non sono andate a finire bene e abbiamo troncato.

Il resto del racconto passa oltre e segue le vicende dell’autore. Vorrei invece provare a immaginare quale potesse essere il prosieguo del ragionamento legato alla regola del due delle immagini di copertina ripartendo dall’ultima frase del brano precedente senza pensar troppo ad imitarne lo stile.

Poi le cose non sono andate a finire bene e abbiamo troncato. Dopo i primi giorni in cui la vita mi è sembrata come sospesa e dilatata in minuti che sembravano ore e giorni che sembravano mesi, m’è tornata in mente questa cosa delle immagini di coppie. Mi sono chiesto se avesse senso continuare a scegliere quelle immagini di copertina seguendo la regola del due. E naturalmente mi sono chiesto cosa avrebbe significato smettere di seguirla e scegliere invece l’immagine di un paesaggio senza persone. O al contraio l’immagine di un gruppo di persone. Banale associare la prima immagine a un’assenza, a una non-esistenza di me se non in coppia con lei. Ugualmente facile associare la seconda immagine a una specie di dichiarazione di ritorno nel mondo, in mezzo alla gente, dopo aver vissuto una parentesi nel nostro idillio fuori dalla vita normale degli altri e con gli altri. Ancora più diretta e definitiva la scelta di un’immagine in cui non ci fosse più una coppia ma un singolo. Eppure ognuna di queste scelte per un attimo ha avuto senso per me. Per un attimo ognuna di queste scelte mi è sembrato potesse comunicare la verità del mio stato d’animo e mentale in quel periodo della mia vita. Poi quell’attimo è passato e ho deciso di continuare a scegliere immagini di coppie.

Quindi cosa vuol dire dire continuare a utilizzare gli stessi segni in un contesto diverso? Cosa significa la regola del due?”.

Quel maledetto DQ non risponde. E tu ti mordi le labbra perché vuoi conoscere la risposta. Intanto continui a passeggiare e non t’importa delle vetrine buie dei negozi e delle pozzanghere. Dimentichi Istanbul e cerchi la risposta per conto tuo. Certo, sei d’accordo con l’autore senza nome quando dice che le immagini di coppie significano dire che loro due si amano senza che il mondo lo capisca. Certo, sei d’accordo con DQ quando s’immagina come il racconto poteva continuare e dice cosa vogliono dire le immagine del paesaggio vuoto, della gente e di uno da solo. E certo che va bene continuare a scegliere immagini di coppie. Ma la regola del due cosa vuol dire? Ci pensi e sei già tornato a casa e esci sul terrazzo per prendere i tuoi due gatti. Il terrazzo è lucido di pioggia e riflette le luci intorno. I gatti ti si avvicinano e si strusciano sulle tue gambe. Per un attimo la loro immagine si riflette un po’ buia e sfocata sul velo sottilissimo di acqua sul terrazzo bagnato. Ecco, un po’ buia e sfocata, anche nella tua testa si forma l’immagine del significato della regola del due.

La regola del due significa inizialmente la conferma della situazione ideale. Poi passa a significare la nostalgia che segue la perdita di quella situazione. Poi sfuma anche la nostalgia e seguire la regola del due sembra diventare niente altro che un vezzo, anzi un’abitudine in realtà priva di significato. In realtà è cominciata la ricerca di una nuova situazione ideale in cui la perfezione di lui e lei possa elevarsi a una dimensione superiore e allo stesso tempo più concreta. Perché una cosa è chiara, finalmente, ed è tanto più chiara se guardi le immagini di coppie: la coppia non esclude il mondo e la gente. L’immagine ritrae una coppia di soggetti, speciali e unici nel loro essere insieme, ma oltre la coppia c’è tutto il resto. C’è lo sfondo, che è il mondo, con tutti i suoi avvenimenti e tutte le persone che ci sono dentro. Senza il mondo, senza la capacità di starci dentro, senza la consapevolezza della concretezza del mondo e della vita tutto intorno non ci può essere neanche la coppia. L’immagine riflessa dei gatti nella pioggia non è perfetta, e per questo è bellissima. Bisogna compromettersi. L’amore assoluto è illusorio e se si fa affidamento al solo amore assoluto ci si consuma insieme a lui. Bisogna amare e vivere. Continuare a farlo anche quando vivere è spiacevole. Sulla consapevolezza del mondo e della vita poggia la consapevolezza dell’amore. Servono solide basi di concreta consapevolezza prima di sperare di poter amare e stare insieme giorno per giorno e invecchiare insieme a una persona, magari.

Sei già a letto quando ti salta in testa un altro maledetto pensiero. Che c’è una cosa che sfugge al ragionamento, cioè la possibilità dell’amore. Perché non è una cosa che si decide da soli, è evidente. Cosa serve? Servono un po’ di fortuna e un po’ di pazienza? Se è vero che le basi dell’amore stanno nella concretezza del mondo e della vita l’amore stesso non può essere soltanto scintilla e fiamma! Possiamo scegliere di crederci ed essere costanti e lucidi nel mantenere la nostra scelta. Ti sembra di sentirlo, il maledetto DQ, mentre ti parla con le sue metafore romantiche…

Forse è arrivato il momento di estrarre quel piccolo seme di dubbio dal suo rifugio nel buio per masticarlo e sputarlo. Oppure è possibile lasciarlo dov’è. E può accadere che il seme germogli comunque e cresca fino a diventare una piantaccia con le foglie scure e gonfie di veleno. Può al contrario accadere che il seme trascurato marcisca. Come marciscono le occasioni perdute, le felicità non vissute, le fortune non godute, i momenti che d’un tratto da futuro radioso si mutano in rimpianto. Si può scegliere di lasciarlo lì dov’è, e curarlo, amarlo, proteggerlo fino a quando non spunta un germoglio che per quanto piccolo e fragile vale la pena accudire e far crescere affinché diventi giorno dopo giorno virgulto e poi robusto albero dalle magnifiche fronde colme di frutti.”

Fino alla fine non lo saprai se hai fatto la scelta giusta. Te li ricordi gli anni in cui pensavi che il destino di ogni essere umano è quello di essere solo, che essere singolo è lo stato naturale per un individuo, che non c’è nessun altro, e poi hai scoperto che invece una persona con cui vivere ci può essere e addirittura l’hai trovata… beh, nemmeno io vorrei tornare indietro. Spegni la luce per dormire e non hai mica poche risposte. Un attimo prima di addormentarti ti torna in mente una poesiola che s’intitola come questa tua lunga confessione. E voler essere felice ti sembra l’unica cosa buona che c’è da fare.

Eravamo

Ora

Tu sei io sono

Di nuovo

Saremo”

– DQ